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​​Conferenza del Padre Generale al III Congresso internazionale

su San Giuseppe,  Lima  23 Novembre 2012 (I parte)

San Giuseppe: il percorso dalla fede alla carità            

 

    Il documento finale della V Conferenza Generale dei Vescovi dell'America Latina e dei Caraibi, svoltasi ad Aparecida (Brasile) dal 13 al 31 maggio 2007, parlando di San Giuseppe dice: "La nostra gente nutre speciale devozione e affetto per Giuseppe, sposo di Maria, uomo giusto, fedele e generoso che sa perdersi per trovarsi nel mistero del Figlio.  San Giuseppe, il maestro silenzioso, affascina, attrae e insegna, non a parole ma con la testimonianza splendente delle sue virtù e la sua forte semplicità" (Aparecida, 274).

   Un breve testo (preceduto da un paragrafo su Maria, presentata come discepola e missionaria), ma estremamente denso e ricco, perché concentra in sé varie preziose linee di spiritualità giuseppina e splendide affermazioni su San Giuseppe.
Analizziamolo:


A. le definizioni evangeliche di San Giuseppe



  1. “Sposo di Maria” (Mt 1,16-18; Lc 1,27; 2,5)
  2.  “Uomo giusto” (Mt 1,19)
     

B. le linee di spiritualità giuseppina
 

  1. “Fedele e generoso”
  2. “che sa perdersi per trovarsi nel mistero del Figlio” (l’affermazione fa pensare alle parole di Gesù
  3. “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” Lc 9,24)
  4. “non a parole”
  5. “ma con la testimonianza splendente delle sue virtù”
  6. “la  sua forte semplicità”

C. le considerazioni popolari di San Giuseppe
 

  1. “La nostra gente nutre speciale devozione e affetto per san Giuseppe”  -  Non solo in America Latina ma anche in tutto il mondo la devozione popolare per San Giuseppe è rilevante e molto diffusa.
     
  2. “Maestro silenzioso”
     
  3. “che affascina, attrae e insegna”
     

     Questo testo del Documento di Aparecida farà da sfondo alla nostra riflessione su San Giuseppe. Il "maestro silenzioso" illumini e guidi l’attuale cammino di fede della nostra gente peruviana, senza dimenticare a chi spesso vive in situazioni di sofferenza, confusione, ingiustizia e di povertà spirituale e materiale.
 

 

Breve cenno storico degli inizi della evangelizzazione nelle Americhe
 

       "Il Vangelo è giunto alla nostra terra nel bel mezzo di un drammatico e diseguale incontro di popoli e culture" (Aparecida, 4).
    "Certo, la memoria di un passato glorioso non può ignorare le ombre che accompagnarono l'opera di evangelizzazione del continente latinoamericano: non è possibile dimenticare le sofferenze e le ingiustizie che i colonizzatori hanno inflitto alle popolazioni indigene, calpestate nei loro diritti umani fondamentali" (Benedetto XVI, udienza generale del 23 maggio 2007).

       Guardiamo le realtà che ci circondano

     La realtà della nostra società oggi è complessa. C’è di tutto. Ci sono miglioramenti nel campo socio-culturale; la scienza e la tecnologia progrediscono; sono emergenti nuovi stili di vita; il valore fondamentale della persona è più chiaro; si cerca la promozione di una globalizzazione diversa, caratterizzata da solidarietà, giustizia e rispetto dei diritti umani, contro la globalizzazione che promuove mancanza di equità e molte ingiustizie.
     Ma oltre a ricchezze e borghesia, c’è la triste realtà della povertà morale e materiale, c’è sfruttamento e oppressione da parte di chi ha il potere, mancanza di etica e trasparenza da parte di chi governa, c’è una diffusa esclusione sociale: "Gli esclusi non sono più gente di basso livello economico, o che vive ai margini o senza potere, ma sono la gente che è privata dell’appartenenza. Gli esclusi non sono solo "sfruttati", ma "inutili" e "rifiutati" (Aparecida, 65).
    Soffermiamoci ad esaminare brevemente alcune delle realtà sociali inquietanti che il Documento di Aparecida ci presenta. Gli effetti di una certa globalizzazione negativa ha raggiunto grandi proporzioni, producendo un mondo dove la gente vive nella ingiustizia e nella precarietà. E’ la grande porzione della società che i "grandi della terra" vogliono nascondere. Ecco alcune tristi realtà:
     a)La mancanza del rispetto della vita, dalla nascita (aborto) alla morte (eutanasia);
     b)La situazione di violenza e di insicurezza che si vive nelle città;
   c)I giovani, che dopo il loro curriculum scolastico, non hanno molte possibilità di entrare nel mercato di lavoro per realizzarsi e costruire una famiglia;
    d)Gli anziani, esclusi dal sistema di produzione e con una misera pensione, hanno spesso difficoltà ad avere uno spazio nelle loro famiglie e nella società e sono spesso ritenute persone fastidiose e inutili;
    e)Le moltitudini che vivono in situazione di povertà; i disoccupati che sopravvivono in condizioni di quasi miseria; uomini e donne che non sono trattati con dignità e con parità di condizioni e che tentano di vivere alla giornata con una economia informale e non sicura;
   f)I dipendenti dalla droga e dall’alcool; le persone con limitazioni fisiche; i portatori di gravi malattie come tubercolosi, SIDA…; bambini ed adulti che vivono per strada, soffrendo disprezzo, solitudine e emarginazione da parte della gente cosiddetta civile;
    g)Le condizioni disumane in cui vive la stragrande maggioranza dei detenuti…

 

    Credo che altre realtà sociali penose potrebbero far parte di questo enorme esercito di poveri.
   Nell’ambito religioso le cose non sono molto migliori: "Una percentuale significativa di uomini… resta al margine della Chiesa e dell’impegno che essi sono chiamati a svolgere. Pertanto, si stanno allontanando da Gesù Cristo, dalla pienezza di vita che tanto desiderano e cercano. Questa condizione di distanza o indifferenza da parte degli uomini, che mette fortemente in dubbio lo stile tradizionale del nostro ministero, finisce per contribuire alla crescente separazione tra fede e cultura, alla progressiva perdita di ciò che è interiormente essenziale e datore di senso, alla fragilità nel risolvere adeguatamente i conflitti e le frustrazioni, alla debolezza nel resistere allo shock e alle seduzioni di una cultura consumista, frivola e competitiva. Tutto questo li rende vulnerabili di fronte alla proposta di stili di vita che si propongono come attraenti e finiscono per essere disumanizzanti. Si fa strada per loro, in numero sempre più grande, l’eventualità di cedere alla tentazione della violenza, dell’infedeltà, all'abuso di potere, alla tossicodipendenza, all'alcolismo, al machismo, alla corruzione e all'abbandono del loro ruolo di genitori" (Aparecida 461).
   Alla gente che vive del proprio lavoro onesto; alle famiglie che educano i figli con amore e sollecitudine; ai giovani impegnati nelle parrocchie e nel volontariato sociale; alla numerosa gente buona e solidale; ma anche al popolo che soffre, che vive alla giornata e in precarietà, a tutti dobbiamo presentare l’icona di Giuseppe di Nazareth.
Ma che ha da dire oggi il Falegname di Nazareth al nostro popolo? Che ha da dire oggi il Custode del Redentore ai cristiani del Perù? Che ha da dire lo Sposo di Maria a chi vive immerso in un mondo complicato come il nostro, appesantito dalle ingiustizie e dalle povertà e in cui non si da spazio a Dio? Sì, ha molto da dire.
   A tutti dovremmo proporre gli esempi di vita del nostro Santo, così come ce li descrivono le poche pagine del Vangelo che parlano di lui, perché "il nostro popolo nutre simpatia e una speciale devozione per Giuseppe" (Aparecida 274).
San Giuseppe co-protagonista del piano di salvezza
   Il cuore materno-paterno di Diopeccati che gli uomini avrebbero commesso in tutti i tempiIl principale e vero protagonista sarebbe stato il suo Figlio unigenito. Ma Dio Padre volle che il Messia fosse assistito da altri protagonisti, per così dire, “minori”. La prima persona scelta fu una bella e semplice ragazza, la Vergine Maria, tutta piena di Grazia. Poi fu la volta di un lavoratore di Nazareth, di nome Giuseppe, un giovane qualunque agli occhi dei suoi compaesani, ma agli occhi di Dio una persona giusta.
   E così il falegname divenne, insieme a Maria Vergine, co-protagonista di tale Piano di Salvezza, con una presenza e una azione responsabile ed essenziale nel disegno divino. Giuseppe, senza mai apparire di fronte al mondo, non sminuì se stesso, ma con coraggio e competenza adempì il compito che gli era stato assegnato da Dio. Svolse la sua funzione senza cercare riconoscimenti, quasi all’ombra di Maria, solo compiendo la volontà del Padre del Cielo e dedicando la sua vita agli interessi di Gesù.
   Giuseppe, pur essendo discendente del re Davide, era un semplice operaio ed aveva certamente un suo progetto di vita, come tutti: formare una famiglia numerosa, come era consuetudine in quel tempo e, chissà, diventare un piccolo imprenditore grazie alla sua professione. Insomma voleva vivere una vita del tutto normale. Ma, accettando di collaborare con Dio nel Piano della Salvezza, cioè accettando in casa sua il Figlio di Dio e sua Madre, lasciò da parte i suoi sogni personali (“seppe perdersi” Aparecida 274) per mettersi al servizio di tutta l'umanità, che doveva essere redenta dal Figlio di Dio (“si trovò nel mistero del Figlio” Aparecida 274). Entrò così a pieno titolo nel progetto divino e universale. Questo fu un cambio totale nella sua vita.
   Giuseppe visse nel nascondimento le sue responsabilità, lasciando che Maria assumesse un ruolo ben più visibile. Scrisse il grande Papa Paolo VI: "San Giuseppe mise subito a disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità e il peso, e rinunciando per un incomparabile virgineo amore, al naturale amore coniugale che la costituisce e la alimenta, per offrire così, con sacrificio totale, l’intera esistenza alle imponderabili esigenze della sorprendente venuta del Messia" (Omelia del 19 marzo 1969).
    Il Vangelo non presenta nessuna parola di questo uomo giusto, ma alcuni verbi esprimono la sua immediata obbedienza a Dio e la sua azione responsabile e decisiva:
   "Egli fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore, prese con sé sua moglie ... gli diede il nome di Gesù"(Mt 1,24).
"Egli si alzò di notte, prese con sé il bambino e sua madre e partì per l'Egitto. Rimase là fino alla morte di Erode ... Giuseppe si alzò, prese il bambino e sua madre e tornò nella terra di Israele. Ma quando seppe ... ebbe paura di andare là ... si trasferì nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città... " (Mt 2,14-15.21-23).
     Accanto al “Fiat” di Maria c’è Il "fece" di San Giuseppe.



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