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   Quando, 25 anni or sono, nel giorno della mia Ordinazione sacerdotale, scelsi San Giuseppe come modello nel sacerdozio, non ho sentito da parte di nessuno alcuna reazione particolare. In quell’inizio di ministero, tutto sembrava così tranquillo e naturale che io non potevo né da lontano immaginare che, dopo qualche anno, avrei dovuto spiegarmi, giustificarmi e rispondere più volte alle obiezioni da parte di laici e addirittura di sacerdoti. Infatti non solo persistevo nella scelta del mio modello, ma lo ricordavo nella predicazione e lo proposi ad altri sacerdoti in diverse occasioni.

 

   Allora alcuni hanno cominciato a obiettare che S. Giuseppe non poteva essere un modello nel sacerdozio per il semplice fatto che non è mai stato un sacerdote, non aveva mai offerto il santo sacrificio della Messa, non aveva neanche predicato il Vangelo. Egli che era stato un uomo giusto e pio, poteva essere modello di preghiera, di unione con Dio, di servizio a Gesù, ma non aveva mai compiute azioni sacerdotali e perciò non era il caso di proporlo ai sacerdoti come modello.
   Gli altri, principalmente laici, rivendicavano per loro l’esempio di S. Giuseppe, il quale è stato un laico, sposato, capo di famiglia, lavoratore e dunque modello ai laici, ai coniugi, ai lavoratori ecc., e perciò, secondo loro, non era il caso di appropriarmi indebitamente di un modello che la tradizione della Chiesa aveva loro assegnato.   Non potendo semplicemente misconoscere la ragionevolezza delle obiezioni degli uni e degli altri, mi sono più volte chiesto: “Chi è il sacerdote e che cosa fa? Chi è mai quest’uomo che, uguale a tutti gli altri nelle virtù e nelle debolezze umane, è chiamato a servire la comunità compiendo atti che superano l’efficacia umana, vanno oltre la nostra capacità di controllare, di misurare, di confermare?”.

 

   Nell’Antico Testamento, il sacerdote era quello che offriva i sacrifici: immolava la vittima, la faceva bruciare, l’offriva a Dio facendola salire in forma di fumo fino al mondo di Dio. C’erano gli olocausti, i propiziatori, le offerte pacifiche … Ma l’efficacia di tali sacrifici era molto limitata nel senso che non potevano espiare i peccati, né dare la forza di non peccate più, né riconciliare l’uomo con Dio offeso fin dal primo peccato nel paradiso.
Allora, meravigliosamente è venuto Gesù e ha compiuto l’atto sacerdotale per eccellenza offrendosi come vittima sulla croce e ha sparso il suo sangue riscattandoci dalla schiavitù del peccato e dalla condanna alla morte. Ha fatto così sparire il sacerdozio dell’Antico Testamento, rimanendo egli soltanto come sommo ed eterno sacerdote, unico mediatore fra Dio e gli uomini.
   E ancora più: ha voluto rendere partecipi del suo sacerdozio tutto il popolo cristiano realizzando il disegno del Padre di formarsi un popolo di sacerdoti. Infatti, tutto il popolo, in virtù del carattere del Battesimo, partecipa del sacerdozio di Cristo ed è chiamato ad offrire sacrifici spirituali graditi a Dio. 
 

 È così che tutti noi siamo sacerdoti e possiamo offrire i nostri sacrifici a Dio attraverso Gesù senza aver necessità degli antichi sacerdoti. La Sacra Scrittura, la tradizione patristica e quella teologica parlano di tutti i fedeli come sacerdoti che offrono in sacrificio:


- le loro preghiere (principalmente di lode),
- le mortificazioni e molestie della vita sopportate con pazienza,
- la verginità consacrata, la vita monastica, la vita religiosa nelle sue varie forme,
- il martirio,
- il compimento dei doveri del proprio stato,
- il ministero apostolico,
- l’insegnamento della dottrina,
- la partecipazione al sacrificio eucaristico,
- i coniugi che ministrano a se stessi il sacramento del matrimonio,
- la vita dei padri e delle madri di famiglia,
- l’amministrazione del battesimo,
- le benedizioni e alcuni sacramentali,
- la capacità di ricevere i sacramenti della penitenza, dell’unzione degli infermi e dell’ordine
- il sollievo spirituale e corporale compiuto nello Spirito Santo,
-  l’educazione dei figli
- ecc.


   Ma affinché l’offrire questi sacrifici in unione con la sua croce non fosse soltanto atti rammemorativi o affettivi, devozionali insomma, lo stesso Gesù ha scelto (e continua a scegliere) alcune persone per compiere un servizio alla comunità, per compiere cioè quell’atto che gli permette di rendersi presente in mezzo al suo popolo. Questi, in virtù del carattere dell’Ordine, hanno per funzione principale cedere a Gesù le loro parole, le loro mani, perché il pane e il vino possano diventare la presenza reale del Signore, non soltanto nel ricordo o in un affettuoso desiderio, ma in corpo, sangue, anima e divinità.

   Così facendo, viene rinnovato di forma incruenta il sacrificio della croce e tutti i fedeli offrono i loro sacrifici consapevoli di trovarsi ai piedi di quella croce nella quale Gesù si immolò per la nostra salvezza.

   

   E nuovamente ricordiamo il nostro modello S. Giuseppe: non ha celebrato la messa ma, quante volte ha avuto a che fare con il sangue di Gesù? Non ha offerto sacrifici ma, quante volte ha offerto Gesù al Padre celeste? Non ha predicato il Vangelo ma, a quante persone ha presentato Gesù?  Non ha mai comunicato? E che dire delle graffiature e scorticature che i bambini si fanno e che i genitori per consolarli puliscono, baciano, gustano letteralmente il loro sangue? Tutto ciò S. Giuseppe ha fatto in rapporto a Gesù.   

   La Chiesa riconosce i sentimenti di S. Giuseppe nei riguardi di Gesù come quelli stessi che il sacerdote deve avere nel trattare i santi misteri. Diceva il beato Giovanni Paolo II: “San Giuseppe non era un sacerdote, ma ebbe parte al sacerdozio comune dei fedeli. E poiché come padre e protettore di Gesù poté tenerlo e portarlo nelle sue braccia, i sacerdoti si rivolgono a S. Giuseppe con l’ardente domanda di poter celebrare il Sacrificio eucaristico con la stessa venerazione e con lo stesso amore con cui egli adempiva la sua missione di padre putativo del Figlio di Dio. (…) Le mani del sacerdote che toccano il corpo eucaristico di Cristo vogliono impetrare da S. Giuseppe la grazia di una castità e di una venerazione pari a quella che il santo falegname di Nazaret dimostrava nei riguardi del suo Figlio putativo”.

   E queste riflessioni mi hanno convinto a non abbandonare il mio modello e a continuare a onorarlo per gli anni venturi di vita sacerdotale. Mi piace pensare al sacerdote che agisce nella persona di Cristo in relazione a quella bellissima preghiera che nostro Fondatore S. Giuseppe Marello scrisse: “Tu, o Giuseppe, che dopo la Vergine benedetta, primo stringesti al seno il Redentore Gesù, sii il nostro esemplare nel nostro ministero che, come il tuo, è ministero di relazione intima col Divin Verbo”.
 

  Finisco ringraziando i miei confratelli e tutte le persone che hanno fatto parte di questi 25 anni di ministero sacerdotale. Voglio in questa celebrazione tenere a tutti spiritualmente presenti e chiedere che Dio a tutti benedica, perché ricordo che insieme abbiamo vissuto degli interventi dello stesso Dio nelle nostre vite.
Supplico anche al Signore che mi conceda ancora di compiere il mio dovere ordinario di celebrare un rito (cioè: quello che si ripete) ma con quella straordinaria fedeltà e purezza di cuore che animò S. Giuseppe nel servire gli interessi di Gesù.
 

 Sia lodato Gesù Cristo.

P. Alberto Santiago OSI





Omelia di P. Alberto Santiago nel 25° di Sacerdozio,

Roma, Casa Generalizia, 19 Marzo 2013

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